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Prostitute in rivolta. La lotta per i diritti delle sex worker

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Come viene declinato il tema dei diritti in costruzione?
Il sistema capitalistico in cui siamo immersi ha imposto il lavoro sessuale come una stringente necessità nella lotta alla sopravvivenza, soprattutto ad alcune fette di popolazione più marginalizzata. Juno Mac e Molly Smith, sex worker transfemministe, raccontano la realtà e il lavoro di prostitute ed ex-prostitute, andando oltre il luogo comune della “donna salvata dalla strada” e il mito della puttana felice. Dichiarare che il sex work sia un lavoro non significa affermare che sia un buon lavoro: chi vende sesso rientra nella categoria di persone con meno potere decisionale al mondo, spesso costrette ad accettare i lavori più degradanti. Ma resta comunque un modo per ottenere le risorse di cui si ha bisogno per sopravvivere. Il problema non risiede quindi nel sesso, bensì nel lavoro.

Dirompenza
In Prostitute in rivolta, un manifesto brillante e intersezionale su come decriminalizzare il sex work, Molly Smith e Juno Mac mettono in primo piano i diritti delle lavoratrici del sesso e pongono “chi legge davanti agli effetti materiali che le frontiere, il carcere e le politiche su decoro, casa e salute hanno sulla parte più marginale della società”. Nella loro attenta disamina, le autrici analizzano molte delle politiche vigenti che nel mondo criminalizzano il sex work. Se per le femministe carcerarie il problema del lavoro sessuale è il sesso commerciale, poiché porta allo sfruttamento tramite la tratta sessuale, per le femministe sex worker il problema sono le frontiere, inventate per tenere fuori i migranti, che eliminano di ogni diritto chi le attraversa per lavorare. Il controllo dell’immigrazione è quindi lo strumento per mantenere lo sfruttamento dei lavoratori e delle risorse del Sud del mondo, assicurando una riserva di lavoratori da sfruttare nel Nord. La tratta diventa quindi lo strumento per limitare le migrazioni, che a sua volta produce sfruttamento e abuso, fino alle morti in mare e nel deserto.

Innovatività del linguaggio, dello sguardo e background delle autrici
“Gli arresti per prostituzione sono razzisti” scrivono le autrici. Già negli anni Settanta si constatò che le donne nere rischiavano l’arresto sette volte in più delle loro colleghe bianche. La disparità razziale entra in gioco anche nel momento in cui si deve determinare la gravità del reato. Per questi motivi, senza dimenticare nessuna, Smith e Mac raccontano donne di ogni classe, donne transgender, migranti e nere, dal Kenya alla Gran Bretagna, passando per la Svezia, il Canada e la Nuova Zelanda. Senza contare che i controlli antiprostituzione, ora anche online dopo l’avvento della tecnologia, spesso ammantati da un’aurea progressista, dissuadono le sex worker dal portare con sé strumenti di prevenzione, esponendole a rischi per la salute, gravidanze indesiderate e contagi da Hiv. Da qui le pratiche poliziesche, la corruzione e la violenza sessuale sono legate alla vulnerabilità delle sex worker, che, una volta identificate come criminali, hanno sempre poche chance di appellarsi alla giustizia. Prostitute in rivolta non è quindi un memoir, ma un libro sul sex working scritto da sex worker transfemministe: non ha l’obiettivo di raccontare storie di deportazioni, abusi o omicidi; bensì, adottando un approccio sistematico al lavoro sessuale, identifica perché quest’ultimo esiste e come continuerà a esistere, indagando sulle attuali forme di legislazione presenti in tutto il pianeta.

Sinossi
“Prostitute in rivolta” libera la prostituzione da quelle parole cui di solito è legata – intimità, perdita di sé, depravazione morale – per ancorarla a una tesi tanto semplice quanto corretta: il lavoro sessuale esiste in un mondo in cui le risorse non sono equamente accessibili. Come ogni altro lavoro, non è né buono né cattivo in sé, ma la vita di chi lo pratica può cambiare a seconda della possibilità di rivendicare dei diritti. Per capirlo basta adottare la prospettiva delle dirette interessate, come le autrici Juno Mac e Molly Smith, sex worker e attiviste femministe. Il libro spinge a porsi importanti quesiti sui significati attribuiti a parole come «sesso», «lavoro», «sfruttamento», «libera scelta», e mette chi legge davanti agli effetti materiali che le frontiere, il carcere e le politiche su decoro, casa e salute hanno sulla parte più marginale della società. Questo volume colma un importante spazio vuoto della riflessione critica in Italia su violenza di genere, migrazioni, lavoro e discriminazioni, con un respiro globale (guardando a realtà diverse, tra nord e sud del mondo) e una potente solidità argomentativa. Prefazione di Barbara Bonomi Romagnoli e Giulia Garofalo Geymonat, postfazione di Ombre rosse.